Fino agli inizi del Novecento in Francia fu in vigore il concordato firmato da Pio VII e da Napoleone nel 1801. Con una legge del 1905, grazie ad una coalizione delle forze massoniche, anticlericali e socialiste, esso fu abrogato e fu realizzata una completa separazione tra Chiesa e Stato in forme ostili alla Chiesa. L’abrogazione infatti fu un atto unilaterale, preceduto dalla rottura delle relazioni diplomatiche con la Santa Sede; tale atto, in base al principio della libertà di coscienza, parificava tutte le confessioni religiose e le riconosceva come realtà interne allo Stato e a lui integralmente sottoposte. Ciò comportò la soppressione di tutte le scuole cattoliche e la confisca di tutti i beni mobili e immobili della Chiesa, quindi di tutti i luoghi di culto, le cattedrali, i seminari i vescovadi… ed anche i quadri ed i libri. L’intenzione del legislatore era che sorgessero delle associazioni cattoliche laiche alle quali potesse essere affidata la gestioni di tali beni (e le relative spese di gestione), ma poiché si voleva che queste fossero svincolate dalla dipendenza dai vescovi diocesani e rispondenti allo stato, furono aspramente combattute da Pio X che condusse una dura lotta contro tutto questo processo di secolarizzazione della Francia. Durante i lavori per il censimento di tutti i beni mobili da confiscare, avendo il Governo dichiarato che i gendarmi avrebbero imposto l’apertura anche dei tabernacoli, ci furono addirittura alcuni morti. Solo dopo la prima guerra mondiale, che col suo sforzo di unità nazionale aveva distolto l’attenzione da una divisione così profonda, si ebbero i primi atti di conciliazione e nel 1924 Pio XI accettò l’istituzione di associazioni diocesane laicali in dipendenza dai Vescovi e ristabilì le relazioni diplomatiche.
Tale processo avanza più coi fatti concreti che sul piano del diritto, sia per la collaborazione di fatto esistente oggi, sia per alcuni episodi che sembrano intaccare la legge del 1905, come alcune elargizioni fatte da enti pubblici o dallo stato a realtà islamiche (ad es. la donazione dei terreni per la moschea di Parigi).
Quest’anno, a seguito della epidemia di coronavirus, dal 17 marzo è entrato in vigore un ‘lock down’ molto simile a quello italiano, le cui misure non portano una scadenza, essendo destinate a rimanere in vigore fino “a nuovo avviso”.
Purtroppo le norme in relazione alla situazione delle celebrazioni liturgiche nelle chiese sono confuse e contraddittorie.
Lo stesso giorno del lock down l’arcivescovo Eric de Moulins-Beaufort, presidente della Conferenza Episcopale Francese, emanava alcune raccomandazioni nell’ottica della solidarietà nazionale, specificando che nessuna messa pubblica poteva essere celebrata, ma potevano essere celebrate quelle private. Venivano annullate tutte le iniziative che prevedevano una partecipazione di oltre 100 persone e cancellata l’assemblea plenaria dei vescovi che si sarebbe dovuta tenere a Lourdes dal 31 marzo al 3 aprile.
I fedeli erano sconcertati. Il problema giuridico si accentrava sul concetto di assembramento. La diocesi di Parigi non considerava come un assembramento una Messa celebrata in una chiesa chiusa, con un parroco e i concelebranti, mentre il ministero dell’Interno dichiarava che una cerimonia di culto è come un raduno organizzato”, per cui “un ufficio liturgico poteva essere celebrato da un ministro del culto, ma a porte chiuse”, e il ministro “poteva essere assistito da poche persone, se necessario e nel minor numero possibile, per procedere alla registrazione della cerimonia”. Quindi, secondo il governo francese, si poteva entrare nel luogo di culto, che però non poteva accogliere assembramenti di fedeli, con l’eccezione della celebrazione dei funerali, che potevano comportare l’accoglienza della famiglia stretta, entro il limite delle 20 persone.
In realtà, anche durante le settimane di confinamento più stringente, le chiese in Francia sono rimaste spesso aperte per momenti solitari di raccoglimento. Molte parrocchie hanno trasmesso la Messa domenicale, riservando a qualcuno la possibilità d’assistere fisicamente, ma questa situazione ha dato luogo a due episodi clamorosi.
Il primo si è avuto il 19 aprile, quando tre poliziotti armati hanno fatto irruzione nella chiesa di Saint-André-de-l’Europedi Parigi per interrompere la celebrazione della Messa domenicale. Padre Phillippe de Maistre, il parroco, trasmetteva la Messa in diretta sui social network; a questa partecipavano sette persone: il sacerdote, un ministrante, il cantore, l’organista e tre parrocchiani per le letture e le risposte. L’’arcivescovo Michel Aupetit di Parigi, il 22 aprile, parlando su Radio Notre Dame, ha stigmatizzato l’evento: “La polizia è entrata armata in una chiesa dove vige rigorosamente il divieto per la polizia di entrare portando le armi. Non c’erano dei terroristi! Dobbiamo mantenere il sangue freddo e fermare questo circo persecutorio. Se è necessario urleremo e abbaieremo molto forte”. In effetti, in base alle leggi del 1905 e del 1907, che garantiscono la libertà di culto, la persona responsabile di un luogo di culto è l’unica responsabile della polizia nella sua chiesa, e la polizia può intervenire solo su richiesta espressa del parroco. L’unica eccezione è la minaccia dell’ordine pubblico, come specificato da un decreto del Consiglio di Stato francese del 1993. Pare che la polizia sia stata allertata da un vicino che ha sentito il suono dell’organo e ha denunciato una “Messa clandestina”. Per padre De Maistre, la situazione è chiara: “Stanno approfittando di questa crisi sanitaria per mettere in discussione la libertà di culto”.
Il secondo esempio riguarda la messa celebrata in modalità drive–in nella cittadina di Chalons-en-Champagne. I fedeli sono arrivati con le loro macchine e il vescovo Francois Touvet ha celebrato la Messa su un piccolo palco, davanti alle vetture.Le autoradio sono state sintonizzate sull’emittente Coeur de Champagne che ha trasmesso l’intera messa. Durante la cerimonia le persone sono rimaste nelle auto (con, al massimo, 4 persone dello stesso nucleo famigliare), provviste di mascherine e gel igienizzante. Nessuno poteva uscire dalle vetture, ma chi voleva la Comunione doveva accendere le luci di emergenza: i sacerdoti hanno distribuito le ostie attraverso i finestrini abbassati.
La situazione si è aggravata quando il governo francese ha disposto le regole per la fase due (che doveva iniziare l’11 maggio), dichiarando di fare delle scelte secondo un ordine di priorità che era in realtà un ordine di importanza. In tale ordine aveva dimenticato ”la libertà religiosa”, mantenendo, in particolare, il divieto totale di riti aperti ai fedeli negli edifici di qualsiasi culto che non erano inclusi nel piano di riapertura.
I vescovi cattolici francesi, quando hanno visto che il governo riapriva sia pure progressivamente scuole esercizi pubblici ecc, ma non accennava alla riapertura delle chiese, hanno presentato un documento durissimo con un piano di riapertura che consentiva ai fedeli di partecipare nuovamente alla celebrazione dei sacramenti in chiesa e alla riapertura dei santuari, nel pieno rispetto dello “spirito di responsabilità sanitaria”.
Anche i deputati cattolici hanno protestato con veemenza e in proposito sono stati depositati vari ricorsi al Consiglio di Stato. Questo, con una decisione veramente clamorosa, del 19 maggio 2020 , ha fatto riferimento alla formula del decreto con le nuove misure di contenimento che in sintesi dice “le scuole sì, le elezioni comunali sì, i luoghi di culto no” e l’ha giudicata non accettabile; così ha concluso la sentenza affermando che «il divieto generale e assoluto è sproporzionato alla luce dell’obbiettivo di preservare la salute pubblica e costituisce pertanto, vista la natura essenziale di questa componente della libertà di culto, una violazione grave e manifestamente illegale di quest’ultima”. Per questo ha ordinato al governo Macron-Philippe di revocare il divieto ed ha imposto al governo 8 giorni di tempo per cancellare la chiusura.
La Conferenza episcopale, soddisfatta per la decisione, ha fatto sapere di aver predisposto in merito e comunicato al governo un piano nazionale contenente misure di protezione e sicurezza per la riapertura delle chiese e la ripresa delle celebrazioni: “Condividiamo la preoccupazione del governo di limitare il più possibile la diffusione dell’epidemia, ma è difficile comprendere come la pratica ordinaria della Messa possa favorire la diffusione del virus e ostacolare le distanze di sicurezza rispetto a molte delle attività che riprenderanno presto. La dimensione spirituale e religiosa dell’essere umano – scrivono i vescovi – contribuisce, siamo convinti, alla pace dei cuori, alla forza nella prova, alla fraternità tra le persone e in tutta la vita sociale. La libertà di culto è un elemento fondamentale della vita democratica. Questo è il motivo per cui i vescovi desiderano incontrare le autorità pubbliche, nazionali e locali, per prepararsi all’effettiva ripresa del culto”. La nota infine assicura: “I cattolici hanno rispettato e rispetteranno le istruzioni del governo”.
In realtà, anche se è possibile che gli effetti pratici dell’ordinanza siano circoscritti rispetto allo scenario in cui si inseriscono, dato che gli otto giorni indicati dal Consiglio di stato scadono il 27 maggio, l’ordinanza rappresenta in ogni caso una svolta giudiziaria d’importanza cruciale in un Paese in cui le relazioni fra autorità civili e rappresentanti religiosi sono non di rado al centro d’incomprensioni o tensioni, nella scia della dolorosa evoluzione storica di quella “laicità alla francese” sempre tanto controversa, oltre che poco compresa fuori dai confini transalpini.