La libertà di manifestazione del (proprio) pensiero garantito dall’art. 21 Cost. come dall’art. 10 della Convenzione EDU, include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee o critiche su temi d”interesse pubblico, dunque soprattutto sui modi d’esercizio del potere qualunque esso sia, senza ingerenza da parte delle autorità pubbliche.
La natura di diritto individuale di libertà ne consente, in campo penale, l’evocazione per il tramite dell’art. 51 c.p., e non v’è dubbio che esso costituisca diritto fondamentale in quanto presupposto fondante la democrazia e condizione dell’esercizio di altre libertà.
Né l’art. 21 Cost., analogamente all’art. 10 Cedu, protegge unicamente le idee favorevoli o inoffensive o indifferenti – nei confronti delle quali non si porrebbe invero alcuna esigenza di tutela -, essendo al contrario principalmente rivolto a garantire la libertà proprio delle opinioni che “urtano, scuotono o inquietano” (secondo la formula usata dalla Corte EDU).
Qualunque proposizione valutativa, rappresentando un giudizio di valore, comporta d’altro canto l’esistenza di postulati o proposizioni indimostrabili (“non misurabili” quali, per stare alla materia, la giustizia o l’ingiustizia, la correttezza o la scorrettezza, l’utilità sociale o la disutilità delle scelte operate) dei quali non può predicarsi un controllo se non nei limiti della continenza espositiva e cioè della adeguatezza – funzionalità allo scopo dialettico perseguito. Continenza mai posta in discussione per l’articolo in esame.
La libertà del dissenso, implicita nella libertà di critica, non poteva essere quindi negata nel caso in esame – relativo alla valutazione di vicende giudiziarie d’innegabile effetto politico e scaturito da una riflessione pubblica e politica (nel senso alto) innestata dalla stessa persona offesa – solamente a causa dell’esistenza di preconcetti o pregiudizi che pure trasparivano dal tessuto coli cui l’opinione – anch’essa politica e all’evidenza di parte avversa rispetto alle compagini politiche e sociali che avevano invece plaudito all’operato dei magistrati di Milano – era manifestata o dalla rozzezza o “erroneità” dell’opinione stessa, e dei suoi postulati.