Il ddl Zan si propone di punire, nel suo punto più delicato e controverso, la discriminazione per motivi di sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere.
Tali categorie vengono introdotte con le definizioni di cui all’art. 1:
“a) per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico; b) per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso; c) per orientamento sessuale si intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi; d) per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dal l’aver concluso un percorso di transizione”.
Si tratta di definizioni mutuate dal dibattito nelle scienze psicologiche e su cui non v’è uniformità di definizione. Concetti fluidi, che comportano una fluidità della norma assolutamente inaccettabile per i principi del diritto penale e per il fondamentale e basilare principio di civiltà per cui nessuno può essere punito se non in virtù di una legge in vigore (nulla poena sine lege – nessuna pena senza legge). Una legge non chiara non chiarisce al cittadino cosa è penalmente rilevante e dunque è come se non vi fosse.
Ma il torto maggiore di simili legislazioni è forse ancora più a monte, nel non chiarire in modo specifico cosa si intenda per discriminazione.
L’ordinamento statunitense, da tempo alle prese con simili problematiche, già dagli anni Novanta aveva posto alcuni paletti di ragionevolezza, che l’ondata degli ultimi anni pare aver superficialmente dimenticato.
Anzitutto, occorre chiarire la differenza tra discriminazione e distinzione. La discriminazione differenzia il trattamento delle persone in ragione di fattori irrilevanti al fine del trattamento stesso, con lo scopo quindi ingiusto ed odioso di marcare la superiorità di una condizione rispetto ad un’altra. Predisporre lavandini diversi per bianchi e neri; impedire alle donne l’accesso a determinati gradi di istruzione: ecco i casi di discriminazione. Si ha distinzione, invece, quando il fattore viene preso in considerazione perché rilevante ai fini della situazione specifica e quindi inidoneo a danneggiare alcuno; anzi posto a tutela della diversità del caso. I bagni distinti per maschi e femmine; i dormitori distinti a seguito dell’ammissione delle donne nell’esercito: casi di distinzione non discriminatoria, anzi volta a tutelare il diritto costituzionale alla privacy sul proprio corpo, di maschi e femmine.
Altro importante fondamento è la differenza tra discriminazione e disaccordo. Il fioraio che si rifiuti di vendere a persone LGBT opera una evidente discriminazione: non vi è alcun collegamento tra la vendita di un fiore e l’orientamento sessuale o l’identità di genere del cliente. Il fioraio che abbia quale cliente abituale una persona LGBT, conoscendone la condizione, e rifiuti di approntare il “servizio nuziale” per il suo matrimonio same-sex è in disaccordo sulla concezione di matrimonio, ma non ha nulla contro il cliente. Non opera una discriminazione, esprime una opinione: per anni ha servito il cliente, normalmente e senza problemi, pur essendo a conoscenza del suo orientamento (2).
Mr. Jack Philips ha subito una pesante condanna per discriminazione dalla Commissione per i diritti civili del Colorado, per essersi rifiutato di realizzare una “torta nuziale” per un matrimonio same sex. Jack aveva offerto altri prodotti dolciari o torte standard ma aveva educatamente declinato l’invito a realizzare la torta specifica. Ancora una volta la Corte Suprema ha riconosciuto che non vi era discriminazione per le persone, ma solo espressione di diverse convinzioni sull’oggetto: il Primo Emendamento garantisce che chiunque abbia opinioni dissenzienti rispetto a quelle preferite dal potere pubblico, ha il diritto di vivere e lavorare secondo le proprie convinzioni.
Così simili le storie della famiglia O’Connor, pizzaioli dell’Indiana o di Elane Photography del New Mexico. Si tratta di titolari di attività commerciali che sono andati incontro ad anni di processi e ad un pesantissimo stigma sociale (Memories Pizza degli O’Connor, assurta alle cronache nazionali, dovette poi chiudere, dopo campagne d’odio sui social e dal vivo), per poi sostanzialmente trovare riconoscimento nella Corte Suprema di aver posto in essere condotta per nulla discriminatorie, bensì espressive del semplice disaccordo “di persone ragionevoli in buona fede con convinzioni decenti e onorevoli”, per usare le espressioni del Supremo Consesso statunitense.
È ancora sub iudice la delicatissima controversia che coinvolge la Catholic Charities adoption agency di Philadelphia, accusata di discriminazione per la scelta – di nuovo, basata non sull’odio, ma sulla convinzione antropologica che il superiore interesse del bambino sia avere un papà e una mamma – di non affidare in adozione bambini a coppie omosessuali.
Nella sentenza Obergefwll v. Hodges, ove è stato riconosciuto il matrimonio omosessuale, la Corte Suprema ha però affermato che la convinzione che maschio e femmina siano creati l’uno per l’altra è “decente e ragionevole” e continua a essere fatta propria da persone ragionevoli e sincere, in tutto il mondo. E va dunque rispettata.
Lo Stato, quindi, non può opporsi a queste idee, per di più rendendo legge tale opposizione, pena la compressione dei diritti di libertà di persone, destinate sempre più ad essere stigmatizzate o sminuite (sentenza Obergefwll v. Hodges). Inoltre, deve precisamente definire quali comportamenti siano discriminatori, escludendovi quanto sia espressione di legittimo dissenso.
È presente tale consapevolezza nel legislatore italiano? E nei fautori del ddl Zan? E negli entusiasti sostenitori?
Davvero è necessario, per tutelare le persone di orientamento omosessuale, portarsi in casa una tale estensione dell’area del penalmente rilevante e tutte le problematiche che ne conseguono, con pericoli così significativi per il pluralismo e la libertà di opinione?
- Il presente intervento rappresenta una sintesi dell’intervento di FRANCESCO CAVALLO in A. MANTOVANO, a cura di, Omofobi per legge?, Siena, 2020
- Caso realmente accaduto a Baronelle Sturzman di Washington. Il caso è rimbalzato già due volte dai tribunali federali, che hanno condannato la sig.ra Baronelle, e la Corte Suprema, che ha ribadito invece la differenza di cui stiamo trattando e dunque la legittimità del comportamento della imputata.
A cura dei Giuristi Cattolici unione di Reggio Emilia